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Come per le piante: esperienze e osservazioni critiche sulla DaD

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di Laura Capriotti, maestra in una scuola primaria delle Marche

 

 

Riflettendo sulla mia esperienza con la didattica a distanza (DAD) mi rendo conto che è iniziata da alcune piantine inaridite e sole.  

 

Con l’inizio della pandemia, il bisogno di mantenere una relazione con la mia classe, anche solo attraverso gli oggetti in comune mi ha spinto a correre a scuola munita di buste. Non sapevo bene cosa andassi a prendere e neanche se mi avrebbero fatto entrare. Ce l’ho fatta per un pelo, da lì a pochi giorni, infatti, anche il personale Ata sarebbe entrato in lockdown.

 

“Devo prendere tutto quello che è nostro, che ci lega, e che può unirci in questa distanza”. Mi sono guardata intorno e ho preso il libro che stavamo leggendo, Il mondo come piace a me di Laura Carlin, il materiale Montessori che immaginavo potessi presentare anche da casa, una piccola lavagna, dei gessetti, dei fogli grandi; credo che riempirmi di oggetti e strumenti di lavoro placasse il senso di spaesamento e insicurezza che vivevo in quel momento.

 

Dalla porta ho osservato la classe un’ultima volta prima di uscire e il mio sguardo si è poggiato sulle piantine senza acqua già da una settimana; “Potrei prendermi cura io delle piantine e fare un video!”. Ecco il mio primo vero lavoro di didattica a distanza: un video delle piantine, del loro stato di “rinsecchimento” e del mio desiderio di prendermene cura. Chiedo di fare la stessa cosa anche alle/i mie/i studenti, di scegliere qualcuno o qualcosa di cui prendersi cura. Un lavoro semplice che ognuno può realizzare a casa propria e condividere, e che in più serve a creare un’abitudine,  a sviluppare il senso di empatia e di responsabilità. 

Grazie a questa semplice attività, ad un tratto ho avuto chiari gli strumenti necessari per una didattica a distanza funzionale:

  • la presenza visiva dell’insegnante attraverso i video, 
  • la continuità con attività didattiche iniziate a scuola, 
  • il conservare delle abitudini prese in classe come la lettura quotidiana di un albo illustrato o la presentazione di esperimenti scientifici, 
  • la connessione del gruppo classe attraverso alcune attività specifiche,  (ad esempio ho proposto un’indagine statistica condotta da loro sulla materia preferita della classe o sul mese di nascita di ognuno/a). 
  • proposte di attività in cui è possibile elaborare e produrre partendo dal proprio contesto. 

Per fare un esempio, dopo aver spiegato tra le caratteristiche del suono il timbro, ho chiesto loro di cercare tra le persone che conoscono quelle che hanno un determinato timbro di voce e i riferimenti ai compagni e alle compagne di classe non sono mancati.

Accanto ad attività più tradizionali, necessarie, è stato fondamentale attingere a nuovi strumenti, nuovi modi per esserci, per stimolarle/i e tentare per quanto possibile di combattere l’isolamento.

Grazie al mio Istituto, al team con cui ho collaborato con ottima sinergia e a chi mi è stato vicino nella mia vita privata, ho scoperto alcuni strumenti come G-Suite, Meet, Google Forms, le applicazioni per creare uno Stop Motion, Emaze (con il quale ho potuto creare una mostra virtuale dei disegni della classe) Padlet,  Digital Escape Room.

 

ECCO QUI DUE ESEMPI DI ESCAPE ROOM CHE HO ELABORATO

Escape room interdisciplinare classe 2°

Escape room tematica sulle fonti storiche classe2°

 

 

Ho scoperto che può essere d’aiuto conoscere programmi come Photoshop per modificare pdf o immagini, Audacity per assemblare, tagliare e modificare file audio, Acrobate reader per modificare, assemblare o estrapolare pdf etc…

È facile lasciarsi prendere dal flusso e dall’entusiasmo dei nuovi apprendimenti e delle nuove conoscenze che il mondo della tecnologia ci offre, ma come è noto ogni pieno ha il suo vuoto. 

Lavorando sulle caratteristiche dei nomi, astratti e concreti, un bambino nel riconsegnarmi un lavoro mi ha scritto che odore è un nome concreto perché si può sentire con il naso, anche se non si può toccare. “Maestra è come il cinguettio che lo posso sentire con le orecchie”. 

Mi informo meglio. Apparentemente secondo l’Accademia della Crusca la distinzione dei nomi tra “astratti” e “concreti” impegna notevolmente i grammatici. 

A quanto pare si tratta di una distinzione da non intendere in senso troppo rigido, visto che, come dice l’Accademia della crusca, molti nomi passano da una categoria all’altra al variare dei contesti: “mi lacrima continuamente l’occhio” (concreto), “Paolo ha occhio per l’arredamento” (astratto).

Ho continuato a ragionare su questo tema, forse dobbiamo considerare tutte le parole di ogni lingua come segno di qualcosa di astratto, esse non rappresentano direttamente le “cose”, di qualunque genere esse siano, ma esprimono l’idea che delle “cose”. Nel corso di questo ragionamento solitario mi sono improvvisamente accorta di qual è il vuoto della dad.

 

In classe sarebbe iniziata una conversazione filosofica su tale argomento, un circolo maieutico, come lo definiva Danilo Dolci, nel quale sarebbe stato possibile attivare il pensiero, e accrescere il senso critico. I bambini/e avrebbero espresso e cambiato la loro opinione, avrebbero cercato di formarsene una, avrebbero ascoltato i loro pari portare idee alle quali non avevano ancora pensato, raccontare esperienze che loro non avevano ancora vissuto. Tutto questo è possibile grazie al dialogo, facendo semplicemente parlare le bambine e i bambini. 

L’apprendimento avviene soprattutto attraverso il dialogo e il confronto nella relazione, ed è questo che qualsiasi dad, anche la migliore non può dare. 

Se non posso incentrare la mia azione formativa su questo, se non posso condire ogni attività didattica con la riflessione comune, se non posso dare voce e nutrire le curiosità specifiche di ognuna/o  allora mi sento un’educatrice e un’insegnante incompleta.  

Ciascuno, infatti, cresce bene solo se curato, come dimostrano le nostre piantine.

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